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Antichi Vigneti Manca: Li Sureddi Bianco in verticale

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Antichi Vigneti Manca: Li Sureddi Bianco in verticale

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Diciotto, diciannove o venti? Tre diverse annate, tre diverse declinazioni de Li Sureddi Bianco, l’assemblaggio di vermentino e girò bianco di Alessia, Noemi e Gianpaolo Manca.

Interpretare un’annata significa principalmente saper modificare e adattare il proprio gesto in base alla materia prima che si riesce a portare in cantina. Questa è una tra le capacità che rientra nel concetto di “Artista” delle Triple “A”. Bisogna però specificare che non c’è modo di farlo se non si è vissuta la vigna nell’alternarsi delle stagioni: solo conoscendo da vicino l’evoluzione del frutto e le conseguenti scelte nella gestione delle piante si può comprendere a fondo la naturale inclinazione dell’uva e accompagnarla nel suo cammino. Ed è per questo che prima ancora di essere Artisti è necessario essere Agricoltori e Artigiani.

Che Alessia, Noemi e Gianpaolo fossero Agricoltori e Artigiani nel senso in cui lo intende il Manifesto Triple “A” lo si capisce sin dal nostro primo sguardo. Sarà che dopo vent’anni ci siam fatti l’occhio o più probabilmente che chi vive in simbiosi con i propri vigneti, magari senza accorgersene, lo dimostra in continuazione nel modo di raccontare sé stesso, il proprio lavoro e la propria terra. Ma è guidandoci alla scoperta delle diverse annate del loro Li Sureddi Bianco che si rivelano nella loro indole più artistica.

La 2018 qui da noi è stata un’annata completamente fuori logica" raccontano "sembrava di stare nel nord Italia. Dopo aver fatto i conti con la siccità spaventosa dell’anno precedente, ci siamo ritrovati a lavorare con un’annata che così piovosa in Sardegna non si era mai vista. Abbiamo dovuto fare sei o sette trattamenti, rispetto ai due di media, ma il lavoro più complesso è stata l’interpretazione della parete fogliare delle piante. È stato necessario defogliare, cosa che solitamente non facciamo mai, e poi diradare, cosa che invece facciamo sempre, a due grappoli a pianta per ottenere concentrazione nelle uve. Per rendere un’idea del lavoro abbiamo calcolato che nella 2018 abbiamo passato in vigna più del doppio del tempo che trascorriamo solitamente”.

La dimostrazione si ritrova nel calice che stupisce per concentrazione, ricchezza e maturità. Complici i due anni di bottiglia, i profumi che si susseguono incessanti cominciando dai lati più tostati e dalle rinfrescanti sfumature ossidative, per proseguire sul balsamico della canfora e dell’eucalipto, ricordando a tratti alcuni vini da muffa nobile con punte di zafferano per poi chiudere sull’idrocarburo. All’entrata morbidissima e glicerica, il sorso riesce a equilibrare calore, ricchezza e maturità, grazie a una spinta salina eccezionale, tratto caratteristico dei vini dei Manca, ai richiami ossidativi e alla tensione dei due giorni macerazione.

La 2019, dopo l’esperienza di un’annata così difficile, pareva fosse destinata a procedere maggior regolarità” continuano “Tutto vero fino a maggio, quando in piena fioritura i venti di maestrale freddi e salini hanno letteralmente spazzato via buona parte delle gemme già sbocciate, specialmente sulle uve bianche dove le perdite hanno toccato punte del 70%. Le rese finali si sono attestate tra i dieci e quindici quintali per ettaro, le viti però hanno concentrato tutto il loro potenziale distribuendolo tra i grappoli restanti e i grappolini delle femminelle”.

Il secondo dei calici difatti porta da tutt’altra parte, a cominciare da profumi delicatissimi, ma di grande varietà che si concentrano prevalentemente sui fiori e le erbe aromatiche e qualche sfumatura gessosa. Anche il sorso dimostra maggior agilità e fluidità rispetto al 2018, senza perdere punti in complessità, anzi aggiungendo ulteriore sale per una beva quasi salmastra.

“Non che sia stata facile, ma reduci da due annate così, la 2020 ci è sembrata quasi perfettachiosano Alessia, Noemi e Gianpaolo spostandosi sull’ultimo assaggio “Pochissimi trattamenti e piante votate all’abbondanza, ma che abbiamo comunque voluto contenere ottenendo concentrazione sia zuccherina che acida. Per preservare il varietale del vermentino, che va perdendo identità con la macerazione, abbiamo adottato un nuovo metodo. Dopo la raccolta e la pigiatura abbiamo separato le bucce dal mosto, che è stato mantenuto a contatto con le fecce grosse a basse temperature per due o tre giorni acquisendo i tratti caratteristici del vitigno. In questo modo siamo poi tornati a riunire parte liquida e solida per non privare il vino della complessità della macerazione”.

Il risultato rimette in equilibrio le carte in tavola ponendosi come perfetto punto d’incontro tra la profonda diversità della 2018 e della 2019. Ritorna la piacevolezza rinfrescante dei tratti ossidativi sulla mela verde che si fondono ai profumi di pasticceria, erbe aromatiche e balsamici, il sorso non perde agilità nonostante la densità rinnovata e poi, ancora una volta, idrocarburo e sale a non finire.

Così Li Sureddi Bianco, l’uvaggio di vermentino e girò bianco delle sorelle Manca, pur mantenendo i tratti identitari della materia e del territorio è in grado di esprimersi in modi completamente diversi, riflettendo non solo l’annata intesa come somma degli eventi climatici, ma anche il variare del gesto dei produttori come frutto dell’interpretazione artistica di coltiva con i propri vigneti una relazione profonda, intima, simbiotica.

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