Vini naturali e formaggi: un matrimonio di gusto e terroir

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Vini naturali e formaggi: un matrimonio di gusto e terroir

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Fascino, complessità e biodiversità sono tre dei punti di contatto fondamentali tra il mondo del vino e del formaggio. Una piccola guida per approcciare le principali tradizioni casearie italiane da portare in tavola al fianco delle Triple “A”.

Vino e formaggi hanno molte più cose in comune di quanto si potrebbe pensare. Sono entrambi infatti legati a territori, varietà di materia prima, fermentazioni e affinamenti, evoluzioni che con il passare del tempo regalano complessità diverse e inaspettate. Alcuni di essi possono stagionare persino in anfore o barriques, a dimostrazione di quanto simili siano questi alimenti. Non fidatevi di chi sostiene che il formaggio sia solo formaggio, come non lo fareste con qualcuno che liquiderebbe con le stesse le argomentazioni la complessità del mondo del vino. L’ambiente, le condizioni climatiche, le varietà animali, così come le diverse tradizioni casearie nella nostra penisola e fuori, fortunatamente, sono piene di sfaccettature. E se in paesi come la Francia troviamo già una DOP sul fieno destinato agli animali da latte e da carne, in Italia siamo ancora un po' indietro affidando la gestione dell’alimentazione degli animali solo ai disciplinari di produzione. Per non parlare degli incredibili carrelli di formaggi che sono una costante in tutti i ristoranti d'oltralpe e di cui davvero si fatica a trovarne traccia in Italia.

Tenete a mente queste cose mentre vi dirigete verso il mercato e andate alla ricerca dei piccoli produttori che portano ancora i loro animali al pascolo, che li nutrono con alimenti di qualità, che lavorano quando possibile con latte crudo e fermenti naturali. Senza dubbio verrete ripagati con il gusto.

Le divisioni all’interno del mondo dei formaggi sono così complesse e innumerevoli che noi per semplicità ci limitiamo ad illustrarvi le principali categorie corredate da qualche esempio e poi ne approfittiamo per darvi qualche consiglio di abbinamento sperimentato direttamente sulle nostre papille!

I formaggi erborinati

I formaggi erborinati sono quei formaggi che da bambini ci facevano storcere il naso quando comparivano in tavola e a cui adesso non riusciamo più a rinunciare. Avete già indovinato? Esatto parliamo dei formaggi blu, caratterizzati da muffe verdi-bluastre e di varie consistenze.

Uno su tutti il gorgonzola. Dolce e spalmabile al cucchiaio o piccante e di consistenza più dura, l’effetto si conferma sempre un’esplosione di sapidità e sapori intensi. Nel primo dei casi si potrà cercare un vino capace di coniugare sale, freschezza e materia come il Vin dei Vecci Bianco di Possa, mentre i più audaci possono provare l’ebrezza dei vini ossidativi, che con le loro note di mela verde e frutta secca giocano alla meraviglia con gli erborinati. Da assaggiare almeno una volta nella vita lo Chateau-Chalon di Stéphane Tissot, ma se questa volta preferite salvaguardare il portafogli optate per un Mnimi di Valdisole. In entrambi casi poi fateci sapere se sarà più difficile abbandonare il calice o il cucchiaio.

Nel caso del gorgonzola piccante invece ci si può spostare nel mondo dei rossi andando a cercare struttura, corpo e perché no qualche tratto surmaturo che addolcisca il palato. È il caso della croatina passita Riva Longa di Tenuta Fornace, rusticità ed eleganza sapientemente coniugati dentro al calice.

Tra gli erborinati impossibile non nominare il Castelmagno, da far sciogliere a bagnomaria fino a ottenerne una salsa cremosa per condire gli gnocchi o da mangiare a scaglie specialmente se molto stagionato e d’alpeggio. In entrambi i casi l’abbinamento non può che essere territoriale: tutta la frutta e la semplcità del Dolcetto d’Alba di Cascina Fontana con gli gnocchi e il calore, la morbidezza e l’acidità della Barbera d’Asti Ronco Malo di Bera col Castelmagno in purezza.

I formaggi a pasta filata

I formaggi a pasta filata sono una prerogativa del sud Italia che ha dato i natali a mozzarelle, burrate, caciocavallo, provole e provoloni. Famosissimi e apprezzatissimi in cucina grazie alla caratteristica di ammorbidirsi e “filare” quando entrano a contatto con una fonte di calore, ma anche da soli con qualche trucco possono regalare dei veri e propri piatti.

Siccome dei formaggi a pasta filata sarete già dei grandi esperti ci limitiamo a consigliare due delle nostre modalità di consumo preferite.

Quelli più freschi come burrate e mozzarelle vaccine e di bufala, sono formaggi capaci di conquistare qualunque palato incontrino. Se questo li rendono un passe-partout per qualsiasi occasione in cui abbiate ospiti a cena, non sacrificateli in cucina. Piuttosto fategli spazio in un grande piatto da portata che li veda protagonisti contornati da tanti piccoli contrappunti, come delle acciughe del cantabrico, delle cime di rapa ripassate con del peperoncino, dei pomodori secchi, dei broccoletti sbollentati conditi con olio, un trito d’aglio e olive nere. Quando la qualità degli ingredienti è sensazionale, non ha senso nasconderne il gusto.
Per completare l’esperienza portate in tavola una bottiglia di Greco de l’Archetipo, un vino rinfrescante, ma abbastanza alcolico e materico da sostenere la scioglievolezza e la succulenza dei formaggi.

Passando al versante dei più stagionati, nel caso siate così fortunati da riuscire a mettere le mani su un caciocavallo silano, appendetelo sopra ad una brace e man mano che inizia a fondere tagliatelo e mettetelo sul pane. Nel caso in cui non siate una brigata numerosa tagliatelo a fette spesse e abbrustolitelo direttamente su una fiamma con l’aiuto di un forchettone. Nel camino o nella stufa darà il meglio di sé. Come spuntino, pasto completo, merenda o coccola serale, poco importa. L’abbinamento con l’Aris Cirò Riserva di Sergio Arcuri è sempre vincente. Un rosso anemico e tannico che porta con sé l’esuberanza della sua terra.

I formaggi a pasta dura

La categoria dei formaggi a pasta dura abbraccia tutti quei formaggi caratterizzati da stagionature piuttosto lunghe che donano prodotti molto saporiti caratterizzati da una grande intensità aromatica.

Il re dei formaggi, conosciuto in tutto il mondo, è il Parmigiano Reggiano. Forme grandi come ruote di camion, impilate su altissimi scaffali, battute col martelletto per controllare dal rumore come procede la loro stagionatura. Imbattibile quello di Vacche Rosse, il cui latte grazie a una diversa composizione proteica permette affinamenti più lunghi mantenendo elasticità della grana e delicatezza di sapore. Nel caso la stagionatura sia relativamente giovane è da gustare a scaglie in purezza, accompagnato da una pera o delle noci è imperdibile, ma è al fianco di un calice di Viktorija Brut Nature, il metodo classico a base ribolla di Slavcek, che dà il meglio di sé. Se invece avete tra le mani una stagionatura più importante (oltre i 40 mesi per intenderci) mangiarlo in purezza è obbligatorio, potete concedervi al massimo con una goccia di vero Aceto tradizionale di Modena o di uno Stravecchio di Mele di Goelles, e poi non mancate l’appuntamento con un vino profondo e dai tannini maturi come il Mantignano, un sangiovese di Romagna de Il Pratello con dieci anni sulle spalle.

Se i gusti forti non vi spaventano dirigete la vostra scelta verso un formaggio a latte ovino come il pecorino sardo della zona dell’Ogliastra, i pascoli ricchi di cisto e lentischio e la vicinanza al mare garantiscono note particolari al latte e ai formaggi. Aromaticità e sapidità del terroir trovano visibilità in questo formaggio. Portatelo in tavola con del pane Carasau, che dovrà essere leggermente scaldato e condito con un filo d’olio, e una bottiglia di Li Sureddi Rosso di Antichi Vigneti Manca. Un vino rosso potente, profondo e con un piccolo residuo zuccherino che saprà farvi immergere nella natura indomabile dell’isola.

I formaggi a crosta fiorita e a crosta lavata

È incredibile come diverse pratiche tradizionali antropologiche possano regalare prodotti completamente differenti tra di loro. I formaggi a crosta lavata sono formaggi la cui crosta viene sottoposta a diversi lavaggi con soluzioni di acqua e sale e spazzolata con panni e spazzole morbide. Questo trattamento favorisce l’insediamento di muffe e batteri amanti dell’umidità e apporta il sale all’interno del formaggio. Quelli a crosta fiorita sono invece formaggi che sulla crosta ospitano colonie di muffe della famiglia Penicillium Candidum che danno luogo a uno strato ricoprente soffice e bianco come il latte.

Tra i crosta lavata ha la meglio il Taleggio. Quando lo acquistate fate attenzione alla consistenza del cuore della forma, più sciolta, più è stagionata, più sarà intenso il sapore. I più giovani sono da gustare con una punta di miele millefiori, come l’Estate Padana di Mieli Thun, e un rosé tutto sulla freschezza come il Forks and Knives Rosé di Milan Nestarec, una lama citrica che giocherà bene sia con la dolcezza del miele sia con le parti grasse e lattiche del formaggio. Alziamo il tiro (e asteniamoci dal miele) di pari passo con la stagionatura, andando a cercare nel calice più struttura, alcol e intensità di sapore. La Cyclope di Luigi Tecce è un aglianico di grande sostanza, non può che fare al caso nostro.

Per cercare invece il nostro esemplare preferito tra i crosta fiorita dobbiamo dirigerci nella zona in cui il Piemonte si incontra con le alpi della Liguria. Lungo la langa Astigiana e la Val Bormida, nasce un ottimo esponente italiano dei formaggi a crosta fiorita, la robiola di Roccaverano. Prodotta con latte caprino, ha un cuore morbido circondato da un cappotto di vellutate muffe bianche. A giudicare dalla velocità con cui sparisce la prima forma, il consiglio è di portarne a casa almeno due. La freschezza del formaggio ne richiede altrettanta nel calice. Questo è il campo preferito dei rossi leggeri, uno su tutti lo Scapigliato di Calafata, un vero e proprio succo d’uva fermentato. Se poi non teme il salato la mattina, non sapete quanto è buona la robiola di Roccaverano a colazione tra due fette calde e croccanti di un buon pane in cassetta. In quel caso però invece del succo d’uva, scegliete quello di pesca non fermentato come il Breskov Sok di Slavcek.

In campagna i contadini dicevano che “la bocca non è stanca se non sa di vacca” e noi, che non ci sentiamo proprio di mettere in discussione questi saperi antichi, preferiamo onorarli con sapori genuini e semplici andando alla ricerca di casari che siano Allevatori, Artigiani e Artisti. Del resto perché se abbiamo deciso di porre così tanta attenzione a cosa versiamo nel nostro calice, non dovremmo avere lo stesso riguardo nei confronti di cosa alberga nel nostro frigo e mettiamo nei nostri piatti?

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